filosofia

Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

«Mentre Platone discorreva delle Idee e usava i nomi della “tavolità” e della “tazzità”, Diogene obiettò: “Io Platone vedo sì una tavola e una tazza, ma, quanto alla “tavolità” e alla “tazzità”, non ne vedo in alcun modo”. E Platone rispose: “È logico, perché gli occhi con qui si vedono una tavola e una tazza li hai, mentre l’intelligenza con qui si contemplano l'”Idea di tavolo” e l'”Idea di tazza” non ce l’hai”. [Quando fu domandato a Platone: “che tipo di persona ti sembra Diogene?” rispose: “Un Socrate impazzito”. (…)
 Siccome Platone aveva dato questa definizione: “L’uomo è un animale bipede, sprovvisto di penne”, ed era stato approvato, Diogene allora, dopo avere spennato un gallo, lo portò nella Scuola e dichiarò: “Questo è l’uomo di Platone” Perciò alla definizione fu aggiunto anche questo requisito: “con le unghie larghe e piatte”. (…)
 Calpestando una volta i tapetti di Platone, che aveva invitato degli amici provenienti da Dionigi, spiegò: “Sto calpestando la vanagloria di Platone”; e Platone, in risposta: “Quanta boria, Diogene, lasci trapelare, pur cercando di sembrare privo di boria!” Altri, invece, dicono che Diogene abbia esclamato: “Sto calpestando la boria di Platone”, e che Platone abbia ribattuto: con un’altra boria Diogene”. (…)
 [Diogene] Una volta rimase per un po’ in piedi a prendere la pioggia e, mentre gli astanti lo compativano, Platone, che era lì presente, osservò: “Se volete compatirlo, andatevene via”, riferendosi alla sua vanagloria…»
dalle “Vite e dottrine…” di Diogene Laerzio

Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

Diogene di Sinope: «Diceva che l’esercizio (áskesis) è di due tipi: l’uno dell’anima, l’altro del corpo. L’esercizio del corpo è quello mediante il quale, praticato in modo continuo, nascono pensieri che rendono facile il raggiungimento della virtù. D’altra parte, un tipo di esercizio è incompleto senza l’altro, poiché le buone condizioni e il vigore fanno parte dei requisiti opportuni tanto per l’anima quanto per il corpo. E in aggiunta adduceva anche prove del fatto che si perviene facilmente alla virtù grazie all’esercizio fisico. Notava, infatti, che anche nelle arti manuali e nelle altre gli artisti si procurano una abilità non indifferente grazie all’applicazione, che i suonatori di flauto e gli atleti eccellono grazie all continuo sforzo nella propria attività, e che costoro, se avessero trasferito l’esercizio anche all’anima, non si affannerebbero invano, senza frutto…»
da Diogene Laerzio, VI, 70.

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Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

Diogene il Cinico «…una volta, dopo avere notato un bambino che beveva con le mani, gettò via la ciotola dalla bisaccia, esclamando: “Un bambino mi ha vinto in fatto di semplicità”. Getto via anche il piatto cavo, per avere visto, parimenti, un bambino che, siccome aveva rotto il piatto, raccoglieva il suo passato di lenticchie con la parte concava di un pezzo di pane…»
da Diogene Laerzio “Vite e dottrine dei più celebri filosofi” VI. 37.

Diogene il Cane

Diogene il Cane… «Una volta, aveva chiesto a un tale di preoccuparsi di trovargli una casetta; e poiché quello tardava, prese come la casa la botte che stava nel Metroon, come egli stesso racconta nelle sue lettere. (…) Eppure era amato dagli Ateniesi. Quando un ragazzo ruppe la sua botte, lo coprirono di percosse, e a Diogene ne fornirono un’altra…»
da Diogene Laerzio “Vite e dottrine dei più celebri filosofi”

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Diogene nella sua “botte” in un dipinto di Sir Lawrence Alma Tadema

Epicuro Lettera a Meneceo

Epicuro a Meneceo: salve.

Nessuno, se è giovane, esiti a studiare filosofia, nè, se è vecchio, si stanchi di praticarla. Per nessuno, infatti, non è ancora il momento o non è più il momento per la salute dell’anima. Chi dice che non è ancora il momento opportuno per la filosofia, o che questo momento è ormai passato, assomiglia a chi dice che non è ancora giunto il momento per la felicità, o che non lo è più. Deve occuparsi della filosofia sia un giovane sia un vecchio: il primo perché invecchiando possa essere giovane nei beni in grazia di ciò che è stato, l’altro per essere al contempo giovane e anziano, in virtù della mancanza di paura di quanto deve avvenire in futuro. Dunque bisogna avere cura delle cause della felicità, se è vero, come è vero, che, quando essa è presente, abbiamo tutto, mentre, quando è assente, facciamo di tutto per poterla avere…

epicuro

…Allo stesso modo bisogna considerare che, tra i desideri alcuni sono naturali; altri, invece, vacui. E, tra i naturali alcuni sono necessari 1)↓, altri semplicemente naturali; e tra i necessari, a loro volta, alcuni sono necessari in vista della felicità, altri, invece, in vista della tranquillità del corpo senza turbamento, altri ancora in vista della vita stessa. Infatti, una infallibile considerazione di questi princìpi sa indirizzare ogni atto di scelta e di ripulsa verso la salute del corpo e l’imperturbabilità dell’anima, poiché questo è il fine, e il compimento del vivere beatamente.
 È per questo scopo, infatti, che noi facciamo tutto: per non soffrire né essere turbari dalla paura; in effetti, una volta che sia tale la nostra condizione, ogni tempesta dell’anima si quieta, perché il vivente non deve muovere verso qualcosa che ancora non ha, né cercare qualcos’altro grazie a cui realizzare pienamente il bene dell’anima e del corpo. Infatti abbiamo necessità di piacere, tutte le volte in cui soffriamo per il fatto che il piacere non è presente; tutte le volte in cui non soffriamo, non abbiamo bisogno del piacere. E per questo diciamo che il piacere è il principio e il fine del vivere in modo beato…
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1. «Epicuro ritiene naturali e necessari quei desideri che ci liberano dai dolori, come per esempio il bere quando si ha sete; naturali e non necessari quei desideri di cose che variano il piacere senza togliere i dolori, come per esempio i cibi raffinati; non naturali e non necessari come per esempio l’avere corone e statue in onore». “Vite…” X.149

Tao te Ching 76


Alla nascita un uomo è tenero e flessibile,
alla morte è duro e rigido.
Tutti gli esseri, l’erba e gli alberi
da vivi sono teneri e flessibili,
da morti sono duri e rigidi.

Dunque il rigido e l’inflessibile
sono amici della morte.
Il tenero e il flessibile
sono amici della vita.

Un esercito rigido viene distrutto.
Un albero rigido viene spezzato.

Il rigido deve piegarsi
o sarà piegato dagli altri.
Ciò che è flessibile
riesce a crescere.

[Tao te Ching 76]