Diogene il Cane

Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

«Alessando, una volta, si mise in piedi di fronte a lui e gli disse: “Io sono Alessandro, il gran re”, “E io”, replicò, “sono Diogene il Cane”. (…) [Un’altra volta] Mentre egli stava prendendo il sole nel Craneo, Alessandro Magno gli si pose in piedi davanti e gli disse: “Chiedimi quello che vuoi”. E quello rispose: “Non farmi ombra” (…) Quando [poi], Alessandro inviò una lettera ad Antipatro, in Atene, per mezzo di un certo Atlia, Diogene, che si trovava presente, disse: “Misero messaggio, da parte di un misero, per mezzo di un misero a un misero”. (…) [Comunque] Si dice, che perfino Alessandro abbia detto che, se non fosse nato Alessandro, avrebbe voluto nascere Diogene…»
da “Vite e dottrine dei più celebri filosofi” di Diogene Laerzio

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Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

«Una volta, aveva chiamato a gran voce: “Accorrete uomini!” e poiché accorse molta gente, egli allora colpì ripetutamente con il bastone, dicendo: “Ho chiamato uomini, non rifiuti”. (…) In pieno giorno se ne andava in giro con la lanterna accesa, e siccome alcuni gli domandavano a che scopo lo facesse, rispose: “Cerco l’uomo”…»
“Vite e dottrine…” VI

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Caesar van Everdingen, “Diogene cerca un vero uomo”

Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

«Diogene, d’altra parte, possedeva una meravigliosa forza di persuasione, così da potere facilmente sconfiggere chiunque nei ragionamenti. Si dice, per esempio, che un certo Onesicrito di Egina abbia mandato ad Atene uno dei due figli che aveva, Androstene, il quale, dopo aver ascoltato le lezioni di Diogene, rimase là. Onesicrito, allora, inviò anche l’altro figlio in cerca di lui, quello più vecchio, Filisco, ma anche Filisco fu trattenuto là allo stesso modo del fratello. Quando da ultimo, per terzo, giunse Onesicrito stesso, si unì ai figli per praticare la filosofia insieme con loro. Tale era la magica forza di attrazione dei discorsi di Diogene.»
“Vite e dottrine…” VI.75

Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

«Mentre Platone discorreva delle Idee e usava i nomi della “tavolità” e della “tazzità”, Diogene obiettò: “Io Platone vedo sì una tavola e una tazza, ma, quanto alla “tavolità” e alla “tazzità”, non ne vedo in alcun modo”. E Platone rispose: “È logico, perché gli occhi con qui si vedono una tavola e una tazza li hai, mentre l’intelligenza con qui si contemplano l'”Idea di tavolo” e l'”Idea di tazza” non ce l’hai”. [Quando fu domandato a Platone: “che tipo di persona ti sembra Diogene?” rispose: “Un Socrate impazzito”. (…)
 Siccome Platone aveva dato questa definizione: “L’uomo è un animale bipede, sprovvisto di penne”, ed era stato approvato, Diogene allora, dopo avere spennato un gallo, lo portò nella Scuola e dichiarò: “Questo è l’uomo di Platone” Perciò alla definizione fu aggiunto anche questo requisito: “con le unghie larghe e piatte”. (…)
 Calpestando una volta i tapetti di Platone, che aveva invitato degli amici provenienti da Dionigi, spiegò: “Sto calpestando la vanagloria di Platone”; e Platone, in risposta: “Quanta boria, Diogene, lasci trapelare, pur cercando di sembrare privo di boria!” Altri, invece, dicono che Diogene abbia esclamato: “Sto calpestando la boria di Platone”, e che Platone abbia ribattuto: con un’altra boria Diogene”. (…)
 [Diogene] Una volta rimase per un po’ in piedi a prendere la pioggia e, mentre gli astanti lo compativano, Platone, che era lì presente, osservò: “Se volete compatirlo, andatevene via”, riferendosi alla sua vanagloria…»
dalle “Vite e dottrine…” di Diogene Laerzio

Diogene il Cane dalle "Vite e dottrine..." di Diogene Laerzio

Diogene di Sinope: «Diceva che l’esercizio (áskesis) è di due tipi: l’uno dell’anima, l’altro del corpo. L’esercizio del corpo è quello mediante il quale, praticato in modo continuo, nascono pensieri che rendono facile il raggiungimento della virtù. D’altra parte, un tipo di esercizio è incompleto senza l’altro, poiché le buone condizioni e il vigore fanno parte dei requisiti opportuni tanto per l’anima quanto per il corpo. E in aggiunta adduceva anche prove del fatto che si perviene facilmente alla virtù grazie all’esercizio fisico. Notava, infatti, che anche nelle arti manuali e nelle altre gli artisti si procurano una abilità non indifferente grazie all’applicazione, che i suonatori di flauto e gli atleti eccellono grazie all continuo sforzo nella propria attività, e che costoro, se avessero trasferito l’esercizio anche all’anima, non si affannerebbero invano, senza frutto…»
da Diogene Laerzio, VI, 70.

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