Epicuro Lettera a Meneceo

Epicuro a Meneceo: salve.

Nessuno, se è giovane, esiti a studiare filosofia, nè, se è vecchio, si stanchi di praticarla. Per nessuno, infatti, non è ancora il momento o non è più il momento per la salute dell’anima. Chi dice che non è ancora il momento opportuno per la filosofia, o che questo momento è ormai passato, assomiglia a chi dice che non è ancora giunto il momento per la felicità, o che non lo è più. Deve occuparsi della filosofia sia un giovane sia un vecchio: il primo perché invecchiando possa essere giovane nei beni in grazia di ciò che è stato, l’altro per essere al contempo giovane e anziano, in virtù della mancanza di paura di quanto deve avvenire in futuro. Dunque bisogna avere cura delle cause della felicità, se è vero, come è vero, che, quando essa è presente, abbiamo tutto, mentre, quando è assente, facciamo di tutto per poterla avere…

epicuro

…Allo stesso modo bisogna considerare che, tra i desideri alcuni sono naturali; altri, invece, vacui. E, tra i naturali alcuni sono necessari 1)↓, altri semplicemente naturali; e tra i necessari, a loro volta, alcuni sono necessari in vista della felicità, altri, invece, in vista della tranquillità del corpo senza turbamento, altri ancora in vista della vita stessa. Infatti, una infallibile considerazione di questi princìpi sa indirizzare ogni atto di scelta e di ripulsa verso la salute del corpo e l’imperturbabilità dell’anima, poiché questo è il fine, e il compimento del vivere beatamente.
 È per questo scopo, infatti, che noi facciamo tutto: per non soffrire né essere turbari dalla paura; in effetti, una volta che sia tale la nostra condizione, ogni tempesta dell’anima si quieta, perché il vivente non deve muovere verso qualcosa che ancora non ha, né cercare qualcos’altro grazie a cui realizzare pienamente il bene dell’anima e del corpo. Infatti abbiamo necessità di piacere, tutte le volte in cui soffriamo per il fatto che il piacere non è presente; tutte le volte in cui non soffriamo, non abbiamo bisogno del piacere. E per questo diciamo che il piacere è il principio e il fine del vivere in modo beato…

…Poiché il piacere è il bene originario per natura, per questo non scegliamo qualsiasi piacere, ma ci sono casi in cui tralasciamo molti piaceri, quando da questi consegue per noi ciò che è di danno; e consideriamo molti dolori migliori dei piaceri, qualora per noi tenga dietro un piacere maggiore, dopo che abbiamo sopportato per molto tempo i dolori. Dunque, ogni piacere, per il fatto di avere una natura a noi familiare, è un bene; ciò non di meno, non ciascun piacere va scelto, così come ogni dolore è un male, ma non sempre ciascun male va evitato, per sua natura. Insomma conviene valutare tutte queste questioni in base alla considerazione di tutto ciò che giova e di quello che non giova. Infatti, trattiamo il bene in certe circostanze, come male, e il male, per converso, come bene…

…Consideriamo l’autarchia o il bastare a se stessi come un grande bene, non per servirci solo ed esclusivamente di poco, ma perché, qualora non disponiamo del molto, possiamo accontentarci del poco, convinti sinceramente che godono dell’abbondanza nel modo più piacevole coloro che meno di tutti ne sentono il bisogno, e che tutto quanto è naturale è molto facile da procurarsi, metre quanto è superfluo è difficile da procurarsi. I cibi semplici arrecano un piacere pari a quello di una mensa sontuosa, una volta che sia stata eliminata la sofferenza legata al bisogno; e il pane e l’acqua offrono il più alto piacere, nel caso in cui li accosti uno che abbia fame. Pertanto, l’abituarsi a cibi semplici e non dispendiosi non solo produce salute, ma rende anche l’uomo pronto a fare fronte ai bisogni necessari della vita, e ci dispone pure in maniera migliore quando, ogni tanto, ci accostiamo ai modi di vita più dispendiosi, e ci rende impavidi di fronte alla sorte…

…Tutte le volte in cui diciamo che il piacere è il fine, non intendiamo parlare di piaceri dei dissoluti e di quelli che consistono nel godimento – come ritengono alcuni ignoranti, che non sono d’accordo oppure che ci interpretano male -, ma il non soffrire nel corpo e non avere turbamenti nell’anima. Infatti, non sono i simposi e i bagordi ininterrotti, né il divertimento con ragazzi e donne, né pesci né una tavola riccamente imbandita producono una vita felice, bensì il raggionametno assennato, che esamina le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che elimina le opinioni per effetto delle quali un gran turbamento attanaglia le anime.
 Di tutte queste cose, il principio e il più grande bene è l’assennatezza (phrónesis), pertanto l’assennatezza risulta perfino più preziosa della filosofia, poiché da essa nascono tutte le altre virtù, in quanto insegna che non è possibile vivere felicemente senza vivere in modo assennato e bello, e neppure è possibile vivere in modo assennato e bello senza vivere anche felicemente…

…gli dèi esistono; poiché la conoscenza di essi è evidente. Essi, però, non sono come i più li considerano; infatti, concependoli nel modo in cui li concepiscono, non potrebbero esistere. È empio non chi nega gli dèi venerati dai più, ma chi attribuisce agli dèi le opinioni dei più. Infatti, le asserzioni dei più riguardo agli dèi non sono prolessi, bensì supposizioni false. E per questo agli dèi si attribuiscono le maggiori cause di male ai malvaggi e di bene ai buoni…

Abìtuati a pensare che la morte non è nulla per noi, poiché ogni bene e ogni male risiede nella sensazione, e la morte è privazione di sensazione. Perciò, la retta cognizione che la morte non è nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, non offrendoci in aggiunta un tempo infinito, bensì sottraendoci la brama dell’immortalità. Non c’è, intatti, nulla di terribile nel vivere per chi ha compreso realmente che non sussiste nulla di terribile nel non-vivere. Pertanto, è stolto chi sostiene di temere la morte non perché addolora quando è presente, bensì perché addolora mentre deve ancora venire. Infatti, ciò che, quando è presente, non inquieta, addolora vanamente mentre lo si attende. Dunque il più orribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, poiché per tutto il tempo in cui noi siamo, la morte non è presente; e per tutto il tempo in cui la morte è presente, noi non siamo. Pertanto, essa non riguarda né i vivi né i morti, poiché per i primi non c’è, e gli altri non sono più.

…la maggior parte delle persone talora fugge la morte come il più grande dei mali, talaltra, invece, le sceglie come mezzo per fare cessare i mali della vita. Il sapiente, invece, né ricusa di vivere, né teme il non-vivere, infatti, non gli dà noia il vivere, ma nemmeno ritiene che il non-vivere sia un male. E, come del cibo egli si sceglie non la porzione maggiore, ma la più gustosa, così anche del tempo si coglie non la parte più lunga, ma la più piacevole.

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1. «Epicuro ritiene naturali e necessari quei desideri che ci liberano dai dolori, come per esempio il bere quando si ha sete; naturali e non necessari quei desideri di cose che variano il piacere senza togliere i dolori, come per esempio i cibi raffinati; non naturali e non necessari come per esempio l’avere corone e statue in onore». “Vite…” X.149

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