Tiziano Terzani

Alchimia Tiziano Terzani

Il mer­cu­rio se­con­do la mi­to­lo­gia in­dia­na è lo sper­ma di Shi­va, «il seme del­la co­scien­za pura».

mercurio

Già mil­len­ni fa sa­cer­do­ti e ma­ghi di ci­vil­tà tan­to lon­ta­ne e di­ver­se fra loro come quel­la maya e quel­la ci­ne­se, quel­la egi­zia e quel­la in­dia­na, han­no cer­ca­to di tra­sfor­ma­re i me­tal­li di poco va­lo­re, come il piom­bo e il rame, in me­tal­li pre­zio­si, come l’ar­gen­to e l’oro. Que­sta mi­ste­rio­sa arte, chia­ma­ta poi al­chi­mia, era par­te dell’eter­no ten­ta­ti­vo dell’uomo di sa­pe­re qual­co­sa di più su se stes­so. La pre­te­sa tra­sfor­ma­zio­ne ma­te­ria­le di un me­tal­lo in un al­tro era mol­to pro­ba­bil­men­te un modo per ce­la­re il se­gre­to di una tra­sfor­ma­zio­ne spi­ri­tua­le 1)↓, quel­la dell’ani­ma, il cui pro­ce­di­men­to era le­ga­to a una co­no­scen­za eso­te­ri­ca ac­ces­si­bi­le solo at­tra­ver­so lun­ghi e im­pe­gna­ti­vi pro­ces­si di ini­zia­zio­ne. Non a caso il lin­guag­gio in cui que­sta arte si espri­me­va era pie­no di dop­pi sen­si. Si par­la­va ad esem­pio di «uc­ci­de­re» il me­tal­lo vi­lio per far­lo poi «ri­na­sce­re» no­bi­le come l’oro, ed era come dire: uc­ci­de­re l’Io per far na­sce­re il Sé del­la co­scien­za pura.
In Cina l’al­chi­mia en­trò a far par­te del­la tra­di­zio­ne taoi­sta, dove ov­via­men­te la pre­te­sa di pro­dur­re quel­lo che ve­ni­va chia­ma­to «l’oro dell’im­mor­ta­li­tà» ma­sche­ra­va un fine tutt’al­tro che me­tal­lur­gi­co. In Eu­ro­pa l’al­chi­mia di­ven­ne l’arte di pre­pa­ra­re una «me­di­ci­na» at­tra­ver­so un mi­ste­rio­so mez­zo, iden­ti­fi­ca­to poi come la pie­tra fi­lo­so­fa­le. Una me­di­ci­na per il cor­po o per l’ani­ma? Man­te­ne­re que­sta am­bi­gui­tà fu es­sen­zia­le per i mi­sti­ci me­dioe­va­li, i qua­li evi­ta­ro­no di es­se­re per­se­gui­ta­ti dal­la Chie­sa per la loro ri­cer­ca di un rap­por­to di­ret­to con Dio bar­ri­can­do­si die­tro a una mas­sa di alam­bic­chi e mor­tai, e na­scon­den­do die­tro il loro la­vo­ro appa­ren­te­men­te ma­te­ria­le di al­chi­mi­sti il loro vero la­vo­ro di ri­cer­ca­to­ri spi­ri­tua­li.
Tiziano Terzani “Un altro giro di giostra”

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1. C. G. Jung

Un altro giro di giostra Tiziano Terzani

SA­PE­VO che quan­do fos­se toc­ca­to a me par­la­re, quel­la era l’oc­ca­sio­ne per scrol­lar­mi di dos­so un gran­de peso.
 Non ave­vo nul­la di ter­ri­bi­le da con­fes­sa­re. Do­ve­vo solo pre­sen­tar­mi, ma ave­vo de­ci­so di far­lo sen­za ri­fe­rir­mi in al­cun modo all’«io» che ero sta­to e que­sto mi sem­brò una li­be­ra­zio­ne. Il mio nome, il mio la­vo­ro, la mia na­zio­na­li­tà, tut­to quel­lo a cui un tem­po sa­rei ri­cor­so per de­fi­nir­mi, non mi pa­re­va­no più «miei». Non mi ri­co­no­sce­vo più in quei pez­zi d’iden­ti­tà. Mi ci sen­ti­vo in­trap­po­la­to. Cer­to: era­no par­te del­la vita che ave­vo fat­to, la vita di cui ave­vo go­du­to, ma era­no an­che i pez­zi del­la vita che mi ave­va por­ta­to pri­ma alla de­pres­sio­ne, poi al re­sto, e il la­sciar­mi tut­to alle spal­le per av­viar­mi ver­so qual­co­sa di com­ple­ta­men­te nuo­vo era un vero sol­lie­vo.

Imp. Giro di giostra

Il «nuo­vo» era già co­min­cia­to e ac­ci­den­ti se era di­ver­so da tut­to quel­lo che era sta­to «mio» fino ad al­lo­ra!
 Ero shi­sha (uno che me­ri­ta di stu­dia­re) in un ash­ram (ere­mo) nel Sud dell’In­dia; vi­ve­vo in una ca­me­ret­ta spar­ta­nis­si­ma con una bran­da, un ta­vo­li­no e uno sga­bel­lo di fer­ro; man­gia­vo con le mani, se­du­to per ter­ra in un gran­de re­fet­to­rio, da un piat­to di ac­cia­io inos­si­da­bi­le in cui, da gran­di cal­de­ro­ni, mi ve­ni­va­no mes­se un paio di ro­ma­io­la­te di una qual­che pap­pa stret­ta­men­te ve­ge­ta­ria­na; stu­dia­vo i te­sti sa­cri in­dia­ni; pren­de­vo le­zio­ni di san­scri­to, la lin­gua ori­gi­na­ria in cui da qual­che mil­len­nio quei te­sti ve­ni­va­no tra­man­da­ti, e, sto­na­to come sono, cer­ca­vo di im­pa­ra­re a can­ta­re gli an­ti­chi inni ve­di­ci e i man­tra, le for­mu­le ma­gi­che con cui si in­vo­ca l’aiu­to di­vi­no per su­pe­ra­re gli osta­co­li sul­la via del­la Co­no­scen­za.
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